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La tradizione del Carnevale in Valtellina

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14/02/20

Cosa sai del Carnevale in Valtellina e delle sue tradizioni?

Ho cercato qualche cenno storico del Carnevale in Valtellina e ho trovato qualche spunto legato ad alcuni paesi.

A Grosio il carnevàl inizia ufficialmente con la festa di s. Antonio Abate (17 gennaio). Un tempo, durante la prima settimana, i ragazzi e i giovanotti si vestivano in maschera e giravano di sera per le stalle a fare scherzi. 

Se accettavano da bere, erano obbligati a togliersi la maschera, altrimenti potevano conservare l'anonimato. 

Al carneval di mòrt è una antica pratica di suffragio per i defunti, ora caduta in disuso. 

Durante gli ultimi tre giorni di carnevale la popolazione si ritrovava in chiesa, alla sera, dove si cantava il Miserere e veniva impartita la benedizione eucaristica in riparazione dei peccati che si compivano durante il periodo di carnevale. 

Al carnevàl vec' è un prolungamento del carnevale ordinario, che si chiude definitivamente con la prima domenica di quaresima, adeguandosi al ciclo liturgico ambrosiano. 

Al carnevàl véc' de una vòlta si svolgeva la prima domenica di quaresima dopo i vespri e, oltre alla sfilata di maschere tipiche (la Bernarda, la Magra Quarefma, al Carnevàl Vecc; al Tòni e l’Órs, al Paralitich) era caratterizzato da numerosi falò di rovi e sterpaglie, che venivano accesi dai ragazzi nella campagna, per festeggiare la fine dell'inverno. 

Inoltre, specie nella frazione di Tiolo, vi era l'usanza di cercare di sporcare con fuliggine la faccia delle ragazze. 

I giovanotti del paese, dopo aver strofinato per bene sul fondo di un paiolo un pezzo di stoffa bianca, cercavano con vari stratagemmi di portare a conclusione questo rito piuttosto fastidioso e molesto. 

Le ragazze tolleravano lo scherzo in attesa di rendere la pariglia, cosa che però avveniva solamente nell'anno bisestile. 

Il carnevàl vec' viene personificato da una maschera che raffigura un vecchio esuberante e godurioso, in costume da montagna, che si contrappone alla Magra Quarefma, una vecchia macilenta e filiforme che ricorda l'imminente periodo di astinenza e digiuno. 

A Biolo ed alla Pioda, frazioni di mezza montagna sopra Ardenno, un tempo, la prima domenica di quaresima accendevano un grande falò, la "casòtula", bruciando, rovi, sterpi, tralci secchi ed anche qualche palo della vigna. Era l'atto conclusivo del periodo carnevalizio.

Il martedì grasso sia a Le Prese che a Mondadizza si ripete da anni l'usanza de la papa e quella de l'aradèl. 

Questa tradizione è particolarmente sentita negli anni bisestili quando l'iniziativa dell'organizzazione spetta alle donne.

Già nelle primissime ore del mattino inizia la caccia agli uomini per "darghe la papa" cioè per tingerli di fuliggine.

Le cronache dell’epoca raccontano di avventurose fughe sui tetti e nei luoghi giudicati inaccessibili, nascondigli ingegnosissimi. 

Durante questo periodo c’è persino chi preferisce abbandonare momentaneamente il paese ma spesso tutto ciò risulta inutile e l'usanza viene rispettata. 

In questa fase tutti indossano abiti vecchi e logori: vestì de brut. 

Nel pomeriggio viene trascinato a braccia per le vie del paese un vecchio aratro (l'aradèl) mentre i componenti dell'altro sesso cercano di impadronirsene per acquistare il diritto di dar la papa l'anno successivo. 

A sera a si ritrovano tutti, vincitori e vinti, maschi e femmine, vestì de bèl, a festeggiare il carnevale senza più alcuna animosità. 

L'usanza  si riallaccia probabilmente agli antichi riti propiziatori della primavera, al culto della dea madre, la terra, fonte e principio di vita.”

Fonte: www.paesidivaltellina.it 

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