Ci sono luoghi che ti chiamano piano, piano...finchè li raggiungi.
Sostila, in Val Fabiolo, è uno di questi.
Era da tempo che volevo andarci. Ne avevo sentito parlare, avevo letto storie e aneddoti, ma niente è come vederlo con i propri occhi. Così, un giorno, ho chiamato le mie amiche e abbiamo deciso: si va.
Per arrivarci bisogna lasciare l’auto piuttosto lontano.
Non esistono strade che portano direttamente al paese: si arriva solo a piedi, seguendo una mulattiera che parte dalla Sirta oppure un sentiero più breve che si imbocca dopo il decimo tornante della strada per Tartano.
Quando il sentiero finisce, in lontananza appare un piccolo borgo, raccolto, silenzioso, dove il tempo sembra essersi fermato davvero.
Sulla porta di una casa, una data scolpita nella pietra: 1466.
Una delle tante case in pietra che raccontano, con la loro sola presenza, oltre 500 anni di storia.
C’è una leggenda che aleggia su Sostila. Racconta che il borgo sia stato fondato nel 1400 da un gruppo di soldati tedeschi disertori, stanchi delle guerre di religione che sconvolgevano l’Europa.
Si dice che abbiano scelto questi monti come rifugio, per cercare pace e libertà.
E forse un fondo di verità c’è. A Sostila, non era raro notare occhi azzurri, lineamenti nordici, che un po’ stonavano – o forse spiccavano – nel contesto valtellinese. Coincidenze? Forse. Ma il dubbio resta.
Una decina d’anni fa, l’architetto Dario Benetti, esperto di architettura rurale, ha studiato il borgo per un suo libro.
Ha notato portali in pietra decorati con croci celtiche scolpite. Li ha chiamati “Portali Gemini”, per via della loro struttura a doppia porta.
Secondo lui, questi elementi richiamano modelli architettonici dell’Austria.
E in effetti, tutto il borgo – con i suoi muri in sasso, le case solide, i tetti bassi – sembra davvero appartenere a un altro tempo, forse anche a un’altra cultura.
Una cosa curiosa che ho scoperto: a Sostila non c'erano comignoli.
Non era una scelta estetica, ma una necessità.
I comignoli dovevano essere fatti con le pietre, ma sarebbero stati troppo pesanti per i tetti, realizzati in legno.
Così, con naturale ingegno montanaro, il fumo veniva fatto uscire dalle finestre.
Semplice, efficace. Come tutto quassù.
Un tempo Sostila contava circa 150 abitanti.
Famiglie, bambini, donne che si aiutavano a vicenda.
Oggi è quasi completamente disabitato. Restano solo due persone: Fausto Mottalini, che ci ha accolto e fatto da Cicerone, e Alessio, che vive un po’ più in là.
Fausto ha cominciato a tornare spesso a Sostila negli anni ’90, quando un muro vicino alla casa di sua madre era crollato.
Lavorava part-time e nei giorni liberi saliva per sistemare, pulire, riportare ordine.
Poi è successo qualcosa: si è innamorato del luogo.
Nel 2011 ha comprato la casa che gli piaceva di più, con una vista più aperta rispetto a quella della madre.
E da allora, raggiunta la pensione, vive lì, tra la natura e la sua beata solitudine.
Scende una volta a settimana per fare la spesa, ma dopo poche ore non vede l’ora di tornare nel suo eremo a 900 metri di altitudine.
Passeggiare oggi tra le vie di Sostila è un’esperienza quasi surreale.
Case vuote, porte socchiuse, silenzi profondi.
Devo dire che ci ha fatto un certo effetto...
Camminando tra quelle pietre, mi venivano in mente scene che non ho mai visto, ma che sentivo vere:
le donne al lavatoio, i bambini che giocano nei cortili, il profumo del pane nei forni, una voce che chiama dalla finestra.
La vita che non c’è più, eppure è ancora lì.
La vecchia scuola è ancora lì, come un piccolo scrigno del tempo.
Siamo entrate come in un film anni 60...
Dentro, banchi in legno, calamai, cartine geografiche, abbecedari consumati.
Ci siamo sedute sulle panche di legno, abbiamo preso in mano il pennino e ci siamo immedesimate negli scolari che hanno trascorso le loro giornate con inchiostro e calamaio...
Scaldandosi con la stufa a legna durante i rigidi inverni.
L’ultima classe si è tenuta nel 1960.
Poi, piano piano, il paese si è svuotato.
I bambini arrivavano anche dalle valli vicine, a piedi, mezz’ora di strada ogni giorno, con ogni meteo...
C’è anche una piccola chiesa, oggi senza fedeli.
Una sola volta all’anno, la prima domenica di agosto, si celebra ancora una messa dedicata alla Madonna della Neve.
Accanto, il vecchio cimitero, che oggi è diventato un prato.
Le croci non ci sono più, ma il luogo emana rispetto. C’è silenzio, ma non è vuoto.
Tra le tante meraviglie che Fausto ha creato, c’è un luogo che mi ha toccata particolarmente: “La casa del libro”.
Una piccola biblioteca, dove ha raccolto tutti i libri che ha letto. Alcuni anche più volte.
Ma non è solo una raccolta di volumi.
È anche una sorta di piccolo museo etnografico, dove Fausto ha sistemato con cura oggetti della vita quotidiana di un tempo: stoviglie, attrezzi, utensili, fotografie.
Ogni cosa è pulita, ordinata, con un senso profondo di rispetto per quello che è stato.
Quando arriva qualcuno – come è successo a noi – Fausto apre le porte, ti accoglie con semplicità e racconta la storia di Sostila.
Ti accompagna tra le case, ti mostra i dettagli, ti fa vedere le cose che da sole non parlerebbero, ma grazie a lui prendono voce.
Fausto vive in una casa molto semplice, con lo stretto indispensabile per vivere serenamente.
Cosa fa durante il giorno, in completa solitudine?
Coltiva i suoi orti da oltre cinquant’anni.
Lo ha imparato da sua madre.
E anche se non mangia verdure, lo fa per amore della terra.
Coltiva di tutto, (insalata, cipolle, finocchi, peperoni, melanzane, patate, pomodori) ma il 90% del raccolto lo regala.
Tra le sue coltivazioni più curiose, ci sono ben 700 piantine di “parùch” selvatico, il Buon Enrico: una pianta spontanea tipica delle zone alpine, che una volta si usava molto nella cucina contadina.
Una vera prelibatezza che non troverai mai nei negozi...
E me ne ha regalato un mazzo che ho cucinato e apprezzato tantissimo insieme a mio padre che una volta lo andava a raccogliere.
Camminare tra le case di Sostila è come sfogliare un libro senza parole, dove però ogni pagina ha qualcosa da dire.
Tutto è fermo, eppure tutto parla.
È un viaggio nel tempo, ma anche un ritorno alla terra, alle radici, a un modo di vivere che ci siamo dimenticati troppo in fretta.
Fausto, con la sua discrezione e il suo amore per questo luogo, custodisce la memoria di un intero paese.
E grazie a lui, Sostila non è morto.
È semplicemente sospeso, in attesa di chi ha voglia di ascoltarlo.
Chi ci arriva, lo sente davvero:
Sostila ti resta dentro.
E poi…
Sostila è anche il paese delle streghe.
Ma questa è un’altra storia.
Scoprila qui.